Il tempo impiegato per indossare la divisa lavorativa è compreso nell'orario di lavoro e dunque va pagato anche se non previsto dal contratto. Con questa motivazione la Cassazione ha rigettato il ricorso della Sodexo e accolto quello dei dipendenti con la sentenza n. 9417/2018.
La società si era rivolta alla Cassazione sostenendo l'erroneità della sentenza di merito "per non avere escluso la sussistenza di elementi di eterodirezione datoriale rispetto alla vestizione, omettendo di valorizzare correttamente il fatto che, trattandosi di indumenti resi necessari dall'interferire del lavoro con alimenti, l'obbligo di indossarli gravava direttamente sul lavoratore e che tale vestizione si attuava in un luogo, gli spogliatoi della sede RAI, al di fuori del diretto controllo del datore di lavoro, sicché la volontà di quest'ultimo si manifestava come irrilevante e gli indumenti costituivano una mera condizione soggettiva per la legittima offerta della prestazione da parte del lavoratore".
Per gli Ermellini, il motivo è infondato, in quanto "il (pacifico) gravare dell'obbligo di vestizione di determinati indumenti di lavoro anche sul lavoratore, oltre a non escludere l'obbligo datoriale di imporre e controllare che tale utilizzazione sia effettiva, è in realtà elemento privo di rilievo alcuno".
Infatti "l'assenza per il lavoratore di libertà di scelta rispetto a tempi e luoghi in cui indossare gli indumenti necessari, non permette di ritenere la relativa operazione come relativa agli atti di diligenza meramente preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, imponendo, proprio per la mancanza di discrezionalità, che il tempo necessario per il suo compimento debba essere retribuito"
Infine, affermano "la pacifica assenza di richiami espressi alla questione nell'ambito della contrattazione collettiva rende ogni profilo a ciò attinente del tutto irrilevante".
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